CODICE DEONTOLOGICO E DIRITTO DI FAMIGLIA.

In una ipotetica graduatoria tracciata in base alle parole e/o frasi maggiormente ricercate ed afferenti il diritto di famiglia non troverebbe alcuna posizione la parola “cura”. Eppure questa parola, così modesta nel suo tratteggiarsi, deve essere prioritaria per quanti si trovano, come professionisti del diritto, a gestire la crisi familiare. Gli interessi dei quali occorre avere tutela, in presenza di figli, richiedono una lettura che non può essere quella del contenzioso ordinario così come spesso mi trovo a leggere atti giudiziari di Colleghi caratterizzati da una scrittura “virulenta” che non ha ragion d’essere sebbene si rappresenti una parte: la tutela degli interessi familiari  sottende la capacità di porsi come professionisti meglio e diversamente rispetto ad altri ambiti del diritto.

Gli avvocati che operano nell’ambito del diritto di famiglia devono, dunque,  declinare i principi generali di cui alla legge forense e al codice deontologico con particolare intensità e specificità posto che nell’effettuare le scelte legate all’adempimento del mandato ricevuto devono provvedere a tutelare le parti che rappresentano nel rispetto dell’interesse primario dei minori coinvolti evitando che possano diventare “merce di scambio” tra i genitori o, ancor peggio che possano essere utilizzati dagli stessi per lucrare “vantaggi economici” o, più semplicemente, essere strumento con cui alimentare la conflittualità che spesso le parti non riescono responsabilmente ad affrontare.

Sul punto l’Ordine degli Avvocati di Milano ha adottato un documento che ha chiamato Vademecum contenente l’individuazione delle regole di condotta deontologicamente corretta che sono tenuti a rispettare gli avvocati che si occupano del settore del diritto di famiglia. Esso si rivolge ai professionisti che si occupano del settore famiglia, ma è anche un prezioso documento per l’utenza che ha diritto di sapere cosa ha diritto di attendersi da un professionista che opera in questo delicato ambito.

L’esigenza di costituire un documento contenente le regole di deontologia specifiche per gli avvocati del diritto di famiglia, nasce, secondo Milano, dalla considerazione che:

«l’avvocato che assume l’incarico nell’ambito del diritto di famiglia deve avere riguardo alla tutela delle esigenze dell’intera famiglia, alle relazioni e agli interessi anche dei minori coinvolti, deve dunque assumere comportamenti ancor più rigorosi e attenti sotto il profilo deontologico».

L’interesse superiore dei minori dovrebbe essere il primo aspetto da considerare, in tutte quelle vicende nelle quali questi siano coinvolti, ponendo in essere con accuratezza la valutazione della situazione specifica:  è quanto recita l’art. 36 delle Linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Pertanto, oltre al normale e scontato rispetto delle regole e della procedura nell’ambito dell’esplicazione del mandato professionale, l’avvocato non potrà solo difendere l’assistito, assecondandone le istanze, ma dovrà soprattutto tenere in conto quali conseguenze potrebbero derivare dal proprio operato, anche per tutti gli altri soggetti coinvolti; ed è per tale motivazione che si parla di “funzione sociale” dell’avvocato.

Se senza ombra di dubbio il cliente che si rivolge all’avvocato va rappresentato legittimamente è, tuttavia, necessario considerare che una difesa a senso unico o settoriale, potrebbe rivelarsi controproducente per le altre parti (soprattutto allorquando siano coinvolti minori), con inevitabili e scontate ripercussioni, anche, sul proprio assistito. Ad esempio, sarebbe terribilmente dannoso se un avvocato assecondasse “i capricci”del genitore collocatario dei figli, strumentalmente finalizzati alla riduzione dei termini di permanenza degli stessi presso l’altro genitore.

L’avvocato della famiglia e delle persone dunque, non può e non deve assecondare il cliente “più facoltoso” pensando al proprio esclusivo tornaconto economico, calpestando le esigenze dell’intera famiglia, minando le relazioni e gl’interessi prevalenti dei minori. Si tralascia in questa sede di delineare la figura dell’avvocato di famiglia nel settore penale, che è allo stesso modo del civilista, una professionalità sui generis e non assimilabile alla generica figura di “penalista”.

Dunque, dal legale che si occupi di materia di famiglia e minorile ci si aspetta che sia così paziente da ascoltare la persona che a lui si rivolga per problemi di natura familiare, immaginando e sperando che possa avere un contegno opportuno e grande comprensione, senza mai perdere di vista obbiettività e capacità di distinguere le situazioni. L’avvocato che tratti questioni familiari, pur non dovendo mai essere emotivamente coinvolto personalmente, dovrà agevolare la soluzione delle vicende attraverso un comportamento ispirato a sensibilità e capacità, limando il conflitto e riducendolo senza alcuna esasperazione; dovrà dedicare impegno e sforzo affinché il proprio cliente/assistito non veda l’altra parte come nemico da sconfiggere, umiliandolo o cercandone l’annientamento.

Tutti i legami familiari devono essere debitamente considerati da parte dell’avvocato, al fine di preservarli, evitando anche false denunce o comportamenti ostruzionistici da parte di un genitore nei confronti dell’altro, soprattutto nei confronti dei minori, sempre allo scopo di tutelarne il prevalente suo unico interesse.

Gli avvocati che si occupano di questioni relative alla famiglia e alla tutela dei minori devono agire con la massima diligenza e devono osservare con particolare scrupolo il dovere di competenza di cui all’art. 14 del CDF, secondo cui “l’avvocato, al fine di assicurare la qualità delle prestazioni professionali, non deve accettare incarichi che non sia in grado di svolgere con adeguata competenza”. A tal proposito la Corte costituzionale, intervenuta con riferimento a un procedimento di adozione, ha affermato che nei procedimenti minorili i professionisti devono essere “in possesso di competenze adeguate alla particolarità e alla delicatezza della funzione da assolvere” (Corte cost., sentenza n. 178 del 22/06/2004).

È proprio questo uno dei doveri su cui occorre fare chiarezza. All’avvocato che si occupa di famiglia e minori non è richiesto soltanto di conoscere le norme sostanziali e procedurali in materia, bensì di avere quella formazione multidisciplinare indispensabile per valutare, caso per caso, le conseguenze delle scelte difensive, soprattutto nei procedimenti in cui sono coinvolti minori. La competenza richiesta in questi casi ricomprende anche la capacità di entrare nelle vicende familiari con una sensibilità particolare: l’avvocato deve comprendere le emozioni del proprio assistito ma senza farsi travolgere dalle stesse; deve assistere con diligenza la parte, mettendo però in primo piano gli interessi degli eventuali figli minori; deve agire con la consapevolezza che nelle cause di diritto di famiglia non vi sono né vinti né vincitori, e che il successo professionale deriva semmai dall’essere riusciti a far comprendere alle parti la necessità di mettere da parte le ostilità personali per il bene dei figli.

Rinviando a successivi approfondimenti la stretta correlazione tra Codice deontologico ed avvocato che si occupa di diritto di famiglia, prioritaria è e resta la parola CURA.