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Avv. Emanuela Malatesta
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In un condominio, ci sono alcune opere che i singoli condòmini possono realizzare senza bisogno del consenso dell’assemblea, purché rispettino determinati limiti. Vediamo le principali:
1. INTERVENTI ALL’INTERNO DEL PROPRIO APPARTAMENTO
I singoli proprietari possono eseguire lavori all’interno della loro unità immobiliare senza autorizzazione, a condizione che:
✅ Non alterino le parti comuni.
✅ Non compromettano la stabilità o sicurezza dell’edificio.
✅ Rispettino le normative edilizie e urbanistiche.
Esempi di lavori consentiti:
- Ristrutturazioni interne (rifacimento pavimenti, impianti, ridistribuzione spazi interni).
- Sostituzione di infissi e serramenti (se non modificano il decoro architettonico).
- Installazione di condizionatori (purché non danneggino le facciate o disturbino i vicini).
2. OPERE SULLE PARTI COMUNI SENZA AUTORIZZAZIONE
Alcune opere su parti comuni possono essere realizzate senza il consenso dell’assemblea, ma con il rispetto delle regole condominiali.
✅ Modifiche che migliorano il godimento del proprio immobile, senza pregiudicare il diritto degli altri condòmini.
✅ Opere che non alterano la destinazione d’uso della parte comune o il decoro architettonico.
Esempi pratici:
- Installazione di inferriate o grate di sicurezza (se conformi al regolamento condominiale).
- Posa di tende da sole o zanzariere (se non alterano il decoro dell’edificio).
- Installazione di impianti fotovoltaici individuali sul tetto (se non limitano il pari diritto degli altri condòmini).
- Accesso per persone con disabilità (ad esempio, installazione di un montascale).
3. OPERE SU PARTI COMUNI CHE RICHIEDONO IL CONSENSO
Invece, è necessaria l’approvazione dell’assemblea per:
🚫 Modifiche che alterano il decoro architettonico.
🚫 Opere che incidono sulla sicurezza o stabilità dell’edificio.
🚫 Uso esclusivo di una parte comune (es. chiudere un cortile condominiale).
Esempi di lavori che richiedono consenso:
- Chiusura di balconi o verande.
- Apertura di nuove finestre o porte su parti comuni.
- Modifica dell’uso di un cortile o giardino condominiale.
Prima di iniziare qualsiasi opera, verifica sempre:
📌 Il regolamento condominiale (potrebbe imporre limiti specifici).
📌 La normativa edilizia comunale (alcuni interventi richiedono permessi).
📌 Se ci sono precedenti in condominio per capire come sono stati gestiti casi simili.
Impugnare una delibera assembleare significa contestarne la validità davanti all’autorità giudiziaria per farla annullare o dichiarare invalida. Questo può avvenire per vizi di forma o di sostanza.
1. CHI PUÒ IMPUGNARE LA DELIBERA
L’impugnazione può essere fatta da:
- Condòmini dissenzienti o assenti (se si tratta di una delibera condominiale).
- Soci di una società (se riguarda una delibera societaria).
- Qualsiasi soggetto che abbia un interesse legittimo e sia stato leso dalla delibera.
2. MOTIVI DI IMPUGNAZIONE
Una delibera può essere impugnata per:
- Vizi di forma (mancata convocazione di tutti gli aventi diritto, violazione delle modalità di convocazione, mancanza di verbale, ecc.).
- Vizi di sostanza (violazione di norme di legge o del regolamento condominiale/societario, decisione su materie non di competenza dell’assemblea, abuso di maggioranza).
3. PROCEDURA DI IMPUGNAZIONE
- Termini per l’impugnazione:
- Delibere condominiali: 30 giorni dalla comunicazione o dalla data della riunione (per gli assenti).
- Delibere societarie: generalmente 90 giorni, ma dipende dal tipo di società.
- Tentativo di conciliazione (se previsto): Per le delibere condominiali, è obbligatorio il tentativo di mediazione prima di ricorrere al giudice.
La contabilità condominiale si gestisce attraverso un rendiconto annuale, che viene redatto dall’amministratore e approvato dall’assemblea condominiale.
Documenti contabili:
A) Registro di contabilità, che riporta tutti i movimenti in ordine cronologico
B) Riepilogo finanziario, che elenca le spese e le entrate
C) Nota sintetica esplicativa, che chiarisce le decisioni e i criteri di gestione
D) Rendiconto condominiale, che riporta le voci di entrata e di uscita, e ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio
È ormai consolidato l’orientamento che limita l’applicazione del principio di rotazione degli inviti o degli affidamenti alle procedure negoziate (di recente Sez. V, 13 ottobre 2020, n. 6168). L’art. 36, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, prevede, infatti, che le stazioni appaltanti hanno sempre la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie. Ciò indica che la norma che impone l’applicazione del principio di rotazione prefigura una chiara contrapposizione tra procedure ordinarie aperte e procedure negoziate (disciplinate dall’art. 36 cit.); in queste ultime, il principio di rotazione funge da contrappeso rispetto alla facoltà attribuita all’amministrazione appaltante di individuare gli operatori economici con i quali contrattare. Pertanto, come emerge anche dalle linee-guida dell’ANAC (n. 4 del 26 ottobre 2016, aggiornate con delibera 1 marzo 2018, n. 206), quando l’amministrazione procede attraverso un avviso pubblico aperto a tutti gli operatori economici, non deve applicarsi il principio di rotazione, perché si è fuori dalle procedure negoziate.
Pertanto, seppure la procedura descritta presenti profili peculiari (che finiscono col forgiare una sorta di procedura mista, ordinaria e negoziata, che si colloca al di fuori di quelle tipiche previste dalla legge), non ricorre la ratio che caratterizza il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti, il quale – in attuazione del principio di concorrenza – ha la finalità di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente, la cui posizione di vantaggio nello svolgimento della procedura deriva soprattutto dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento, che potrebbe consentirgli di formulare una migliore offerta rispetto ai concorrenti, soprattutto nei mercati in cui il numero di operatori economici non è elevato (in tal senso si veda il parere del Consiglio di Stato, Commissione speciale, 12 febbraio 2018, n. 361, sulle «Linee guida» dell’Anac aggiornate sulla base delle disposizioni del d.lgs. n. 56 del 2017).
Essendo assimilabile a una procedura ordinaria o comunque aperta al mercato, alla procedura in esame non è applicabile il principio di rotazione (in tal senso, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 22.02.2021 n. 1515)
No. L’art. 59 comma 1 del d.lgs. 50/2016 (nuovo Codice Appalti), rubricato “Scelta delle procedure”, dispone espressamente il divieto di ricorso all’affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione di lavori.
La norma lascia salvi i soli casi di:
- affidamento a contraente generale,
- finanza di progetto,
- affidamento in concessione,
- partenariato pubblico privato,
- contratto di disponibilità.
Soltanto nei predetti casi è dunque ancora possibile bandire un appalto integrato.
Si. Tra imprese facenti parte di uno stesso RTI è possibile cumulare gli importi di fatturato di ciascuna impresa, al fine di soddisfare il requisito di capacità economico-finanziaria richiesto dal bando di gara.
Cumulare gli importi di fatturato posseduti da ciascuna impresa, nell’ambito di un raggruppamento, significa ampliare la possibilità di partecipazione alle gare pubbliche per i concorrenti dotati di minore esperienza e/o fatturato (così ANAC, Parere di Precontenzioso n. 31 del 13/02/2014).
Tuttavia, il bando può individuare l’eventuale misura minima e/o massima entro cui i requisiti devono essere posseduti dai singoli membri del raggruppamento.
Ciò significa che possono essere cumulati i requisiti di fatturato tra imprese dello stesso raggruppamento soltanto a condizione di:
- verificare che la mandataria possegga i requisiti in misura maggioritaria rispetto alle mandanti;
- verificare, sul bando e/o disciplinare di gara, la previsione di eventuali misure (minime e/o massime) entro cui ciascuna impresa del gruppo è tenuta a possedere i requisiti richiesti.
Il socio accomandante non ha una partecipazione attiva nella gestione della società. Questa circostanza, infatti, ovvero una diretta partecipazione alle attività aziendali comporterebbe, sotto il profilo legale, l’equivalenza del socio accomandante al socio accomandatario, che per legge riveste il ruolo di amministratore ed è socio illimitatamente responsabile per le obbligazioni societarie. Diversamente, il socio accomandante, risponde esclusivamente nei limiti della propria partecipazione, correndo quindi il rischio di perdere il solo capitale investito.
Questa distinzione è rilevante poiché la situazione di dissenso potrebbe degenerare in un conflitto tra soci potenzialmente problematico rispetto al quale ogni ulteriore parere deve essere rimandato alla disamina degli atti societari e dello Statuto.